UN ESTREMO ATTO D’AMORE

Opera teatrale tratta dal testo autobiografico di Claudio Foschini.
In nome del popolo italiano. Storie di una malavita

Da un progetto di Viso Collettivo vincitore del premio Lucia 2020. Una produzione Compagnia GenoveseBeltramo e Viso Collettivo

Nato a Roma il 30/7/1949 tra le baracche del Rione Mandrione, Claudio Foschini trascorre la sua infanzia nella miseria, nonostante il clima di solidarietà all’interno della famiglia e della comunità di borgata. Poi il collegio, gli amici, il primo amore, i primi furti e rapine, Claudio cresce soffocato dalla frustrazione per la sua condizione sociale, una spirale vertiginosa fatta di arresti e condanne, cocaina ed eroina. In carcere partecipa a rivolte e soprusi, ma anche al primo convegno sulla detenzione tenuto all’interno di un carcere, a Rebibbia nel 1984, che si conclude con la messa in scena dell’Antigone di Sofocle da parte dei detenuti: questa esperienza, vissuta in modo quasi catartico, lo segna profondamente. “Un estremo atto d’amore” sono quindi le parole che lo stesso Claudio usa per descrivere la sua esperienza con il teatro.

Dalle vicende e dalle riflessioni narrate, sebbene siano spesso di carattere intimo e personale, emerge una forte denuncia delle iniquità sociali e dei soprusi del sistema giudiziario e carcerario. L’ineluttabilità della (mala) sorte per i “miserabili” riecheggia costantemente come una sorta di leitmotiv… Serve quindi un estremo atto d’amore per raccontarsi, gesto che ha compiuto lo stesso Claudio nel trascrivere le sue memorie, nel tramandare ai posteri le sue esperienze, tanto personali e intime quanto collettive e politiche.

Lo spettacolo nasce dalla necessità di far riecheggiare la sua storia per poter compiere un altro piccolo ed estremo atto d’amore, nella convinzione che «le storie con la “s” minuscola possano raccontare la Storia con la “S” maiuscola» (parafrasando Saverio Tutino, il fondatore dell’Archivio Diaristico Pieve Santo Stefano, dove è stato depositato il diario di Foschini).

Ai testi tratti da In nome del popolo italiano viene contrapposta una scelta di passaggi dell’Antigone di Sofocle. L’operazione di cut-up testuale è volta non tanto a sublimare il personaggio Foschini in eroe tragico, quanto ad avvicinarlo ed accoglierlo all’interno di una scena pubblica ma familiare, “fatta di prigioni reali e prigioni interne, che sono le peggiori”. Al linguaggio franco, lucido e sagace di Foschini viene quindi contrapposto il tono aulico di un coro, ritratto di tutti noi spettatori di storie fuori dal tempo – e giudici ultimi, oggi come allora.

Per maggiori informazioni:

Le musiche e il sound design – diffusi in esafonia – hanno l’obiettivo di ricreare una scenografia sonora immersiva, che sostenga le fondamenta della narrazione e costruisca intorno al pubblico una gabbia virtuale.

Note di regia

Alle trame preferisco i mondi.

Quello di Claudio Foschini mi è stato presentato da Viso Collettivo nel 2021 dopo che con la versione in radiodramma avevano vinto il Premio Lucia e volevano sviluppare in versione live una performance teatrale sullo stesso testo. Dopo aver letto le parole di Claudio ho subito avuto la sensazione di conoscere una persona in più. Poi mi sono domandata se quella vita valesse la pena di essere raccontata e la risposta è stata che quelle memorie, scritte di suo pugno, in carcere, con quella scrittura piena di errori, fossero una delle confessioni più oneste che avessi mai avuto occasione di leggere. Una sorta di liberazione, a tratti un rigurgito, dove i tentativi di auto divinazione sono talmente palesi da far sorridere: un quadro dall’umanità disarmante. Ciascuno di noi può riconoscersi in Claudio Foschini, nel suo conflitto, nella sua vitalità, nella sua rabbia, nelle sue ambizioni, nei suoi errori: in quelle gabbie interne che sanno essere ancora più violente di quelle esterne. Abbiamo quindi lavorato sul concetto di immersione, sia sonora che emotiva. Lo spettacolo è un tuffo che compi in solitudine, riemergendo parte di una collettività.

Abbiamo adattato il testo del radiodramma focalizzandoci sugli aspetti più umani della narrazione, sospendendo il giudizio e la morale.
Approfittando dell’esafonia abbiamo giocato con gli elementi cinematografici del sound design, ricostruendo dialoghi e suoni d’ambiente, con l’obiettivo di pennellare il racconto di riconoscibile verità. Abbiamo scelto una scenografia pressoché inesistente, dove gli strumenti sono visibili, fatta di uno scomodo sgabello senza seduta per il protagonista, con l’obiettivo di togliere tutto il mistero e lasciare chi è in scena nudo seppur vestito.
Le luci alternano linee precise, sottili spiragli, abbagli, in alcuni casi isolano, in altri unificano, rendono immenso il buio, spietate le ombre.

Il dialogo con la tragedia dell’Antigone rappresenta sia l’incontro fra Claudio e il teatro che in carcere è stata per lui un’esperienza rivoluzionaria, sia un pretesto per calpestare ancora una volta quel crudele sentiero che, fin dalla sua genesi, l’essere umano percorre.

– Viren Beltramo